lunedì 12 luglio 2010
Ieri Tambroni, Oggi Berlusconi
Era marzo del 1960 quando il democristiano Fernando Tambroni riceveva l’incarico dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi di formare il nuovo governo; per la prima volta, il nuovo governo riceve anche i voti dei post-fastisti dell'MSI.
A giugno dello stesso anno l'MSI annuncia la decisione di tenere il suo congresso nazionale a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, e di farlo presiedere dall’ex prefetto Basile, repubblichino e responsabile della deportazione degli antifascisti e degli operai genovesi nei lager e nelle fabbriche tedesche. All’autorizzazione del congresso fascista esplode la protesta politica.
Parallelamente, si avvia anche un'accesa protesta sociale: poco lavoro, pochi diritti, ritmi massacranti alle catene di montaggio e un miracolo economico che non ha ancora dato risultati positivi alle nuove generazioni. E così, inaspettatamente, avviene la saldatura tra le “magliette a righe”, “i ragazzi del fischietto”(le nuove leve operaie), gli studenti, e i combattenti della Resistenza oscurati nel precedente decennio.
E Genova insorge, insultata e provocata: comincia così una serie di scioperi e manifestazioni.
Il 2 luglio, un comizio di Sandro Pertini tenuto a nome dell’ANPI, raccoglie una folla enorme in piazza Banchi. Il clima si surriscalda al termine, quando, con alla testa i comandanti partigiani si forma un corteo che si dirige verso il Sacrario dei Martiri della Resistenza. A Piazza De Ferrari avviene il primo attacco della polizia che i manifestanti affrontano erigendo barricate, rovesciando e bruciando le jeep. Si impadroniscono della città costringendo la polizia a trincerarsi nelle caserme, mentre in un grande rogo vengono gettate le armi sequestrate alle forze dell’ordine. Il congresso fascista non si tiene a Genova, ma Tambroni ordina la linea dura nei confronti di ogni altra eventuale manifestazione.
Il 5 luglio, a Licata la polizia spara, ferisce 24 manifestanti e uccide il giovane Vincenzo Napoli di 25 anni.
Il 6 luglio a Roma, a Porta San Paolo, la polizia a cavallo, guidata dal Raimondo D’Inzeo, carica un corteo antifascista, ferisce alcuni deputati socialisti e comunisti, arresta insieme a tanti altri il segretario della Camera del Lavoro. Come nelle altre città, scendono in piazza associazioni giovanili e consistenti pezzi dei giovani DC, cosa che farà scrivere a Ferruccio Parri: “Le splendide giornate di Genova hanno ricomposto lo spirito unitario che rese possibile la Resistenza.”
A Reggio Emilia, la CGIL, che sino a quel momento era stata contraria allo svolgersi di manifestazioni politiche, proclama lo sciopero cittadino per il giorno seguente. La polizia ha proibito gli assembramenti. I manifestanti, oltre 20.000, seguono i circa 300 operai delle Officine Meccaniche Reggiane, che si concentrano nella piazza davanti al monumento ai Caduti, cantando canzoni di protesta. Polizia e carabinieri caricano la manifestazione pacifica con idranti, bombe a gas e fumogeni, girando all’impazzata con le camionette. I manifestanti cercano di respingere l’assalto con sassi, sedie, assi di legno e qualunque cosa serva a difendersi. Comincia la sparatoria: più di 500 proiettili, centinaia di feriti, 5 morti.
Afro Tondelli, il partigiano “Bobi” della 76° SAP, 35 anni, iscritto al PCI, operaio e segretario locale dell’ANPI, ammazzato dall’agente di PS Orlando Celani;
Lauro Farioli, 22 anni, iscritto al PCI, ai primi spari si muove verso i poliziotti, viene fucilato al petto;
Marino Serri, 41 anni, iscritto al PCI, operaio, partigiano della 76a brigata, viene falciato da una raffica di mitra;
Ovidio Franchi, 19 anni, iscritto al PCI, operaio, viene colpito ripetutamente;
Emilio Reverberi, 39 anni, iscritto al PCI, garibaldino nella 144a Brigata nella Val d’Enza e commissario politico, operaio, licenziato dalle Officine Meccaniche Reggiane perché comunista.
Altre manifestazioni a Napoli, Modena e Parma con altri scontri e altri feriti. A Palermo, la polizia carica la manifestazione senza preavviso e spara sulla folla, ferendo una quarantina di manifestanti; uccide Francesco Vella, 42 anni, organizzatore delle leghe edili, che tenta di soccorrere Giuseppe Malleo, un ragazzo di 16 anni ferito, e Andrea Gangitano, giovane manovale disoccupato. Colpita anche Rosa La Barbera, 53 anni, in casa sua mentre chiudeva la finestra.
A Catania, l’8 luglio, 7 manifestanti feriti e l’episodio più odioso: la polizia massacra a manganellate Salvatore Novembre, 19 anni, disoccupato e mentre il ragazzo è a terra sanguinante un poliziotto gli spara una serie di colpi fino a renderlo irriconoscibile. Il corpo viene trascinato dagli agenti al centro della piazza e viene impedito a chiunque di prestare soccorso al ragazzo che lentamente muore dissanguato. Verrà disposta una perizia necroscopica per “accertare, ove sia possibile, se il proiettile sia stato esploso dai manifestanti”. Una delle infinite macabre montature, che si ripetono negli anni con le più diverse modalità.
Il 9 luglio, imponenti manifestazioni a Reggio Emilia, Catania e Palermo rilanciano la protesta. Tambroni, nel tentativo di una estrema difesa del suo governo, accusa i comunisti di aver provocato gli incidenti mettendo in atto un piano ordito da PCI e URSS.
7 luglio 2010: i terremotati de L'Aquila in corteo a Roma per manifestare e chiedere agevolazioni fiscali e sostegno all'economia, diventano l'obbiettivo dei manganelli della polizia.
“Guardate il sangue di un aquilano. La mia unica colpa è essere un terremotato” dice un ragazzo con la testa sanguinante. "Hai sfruttato il nostro dolore. Vieni qui se hai il coraggio" urlano con rabbia i manifestanti che assediano la casa di Berlusconi.
La risposta mediatica stavolta è dirompente: il Giornale accusa di essere stata la sinistra ad orchestrare le rivolte, mentre per il Tg1 le manganellate della Polizia contro gli aquilani in corteo a Roma non esistono: c’è il Lodo Alfano, e le voci dell’emendamento Pd a favore di Napolitano, c’è il vertice tra Berlusconi e lo stato maggiore del Pdl, c’è l’Europa col Pil crescente e l’Italia ovviamente meglio di tutti; poi il servizio, come fosse dovuto: cronaca striminzita e chiusura in bellezza: 'i manifestanti hanno contestato Bersani'.
Il tempo passa, e la storia si ripete.
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