"Qui niente preservativi, siamo cattolici" è la risposta di una farmacia romana che si rifiuta di vendere profilattici ai suoi clienti. 'E allora' dico io 'vada a fare l'idraulico'.
Non ho mai capito l'obiezione di coscienza.
Certo, non sono credente, ma questo non significa sia spregiudicato: ad esempio, sono contro le armi, ma rispetto chi, nei limiti di legge, ovvio, pratica la caccia o il tiro al bersaglio per passione. Proprio per questo, mai andrei a lavorare in un'armeria o in poligono. E un cattolico 'integralista', di quelli che non intendono rispettare le libertà e la morale altrui, anche a discapito della legge, non dovrebbe fare il farmacista, o peggio, il ginecologo.
Originariamente, l'espressione 'obiezione di coscienza' si riferisce al rifiuto di svolgere il servizio militare di leva; per venire incontro a queste volontà, fu istituito dalla Legge Marcora (n.772/1972) il servizio civile.
Il tema dell'obiezione di coscienza è tornato negli ultimi tempi a far discutere proprio per il ripetersi di casi come quello descritto in apertura: medici che rifiutano di praticare aborti, farmacisti che si rifutano di vendere profilattici o la nuova pillola abortiva RU-486 (impropriamente detta anche 'pillola del giorno dopo').
Proprio i casi di ginecologi che si rifiutano di interrompere le gravidanze delle pazienti mi lasciano perplesso: perchè uno sceglie un lavoro che va contro le sue opinioni morali, per poi rifiutarsi di svolgerlo? "Non ha voglia di lavorare" mi rispondo semplicemente.
In ogni caso, nel nostro ordinamento, esiste il reato di 'interruzione di pubblico servizio', regolato dall'art.340 del Codice Penale, e credo che gli episodi di 'obiezione di coscienza' medica o sanitaria siano a tutti gli effetti da far rientrare tra quelli tutelati dal suddetto articolo, che prevede pene di reclusione fino a un anno.
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